Cattivi/Angelo Ricci

Da mauriziotorchio.

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Angelo Ricci

Angelo Ricci. Notte di nebbia in pianura, 9 marzo 2015.

Cattivi non è un romanzo “penitenziario”, come alla ambientazione “penitenziaria” riferiamo certe produzioni televisive come Oz o Orange is the new black o filmiche come Fuga da Alcatraz. Cattivi è ben più di tutto questo. Sarebbe riduttivo infatti circoscriverlo alla mera descrizione di quella realtà coattiva, oppressiva e claustrofobica come quella che delimita quell’eterno sistema punitivo che la società degli umani definisce carcere. Cattivi va invece inteso come una metafora di un paradigma storico che ha nelle sue note principali l’enunciazione violenta dei rapporti tra l’essere umano e l’istituzione, creazione imperfetta di demiurghi altrettanto imperfetti che, per mezzo di questa coniugazione di difetti illimitati, segna i rapporti storici, politici ed economici della comunità.

Lo stile dell’Autore è genialmente scarno, asciutto, secco, affilato come una lama nascosta in un pertugio segreto del cortile di un carcere. Lama che prima o poi diverrà ente vivente anche se, e forse proprio per questo, dispensatore della fine di altri enti viventi.

Richiami storici alle evidenze criminali italiane degli anni Settanta e Ottanta (i sequestri di persona, i detenuti politici, quell’isola che evoca l’Asinara) si fondono con apparizioni spettrali di gruppi di nuova criminalità mondializzata e demoniaca che segnano in modo indelebile i primi anni del Terzo Millennio (gli Enne che, schierati come una letale collettività Borg, ricordano i cartelli degli Zetas o le macchine da morte della Mara Salvatrucha).

L’Autore lentamente pone la storia, la trama, il romanzo stesso in una immobilità spaziotemporale a cavallo tra un passato che sanguina nel presente e un futuro che è già contaminato da quel sangue. Cattivi giunge così a colonizzare un momento narrativo che si esfiltra da storicizzazioni scontate, che riesce a toccare e a superare i luoghi e i confini della stessa scrittura che è elemento fondante e vivente della letteratura e a trasfigurarsi, come pochi altri romanzi, in territorio narrativo e narrante che riesce nell'impresa di portarsi al di là dei confini della letteratura stessa.

Quel finale misterico e insondabile, quella sacra rappresentazione dell’assenza totale di tutto e di tutti, quell’eco di parole rimaste ultime e uniche a cercare di sondare un deserto di atti, opere e omissioni fa di Cattivi un’opera da porre tra le pietre miliari di quel segreto sentimento che è il senso dello scrivere.

Un libro.


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