L'invulnerabile altrove/Le cose che non capisci fino in fondo
Da mauriziotorchio.
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Le cose che non capisci fino in fondo
Che cosa succede quando si concepisce una narrazione romanzesca in termini di una sempre possibile costruzione di stati della mente che noi non conosciamo, ma sentiamo? Che cosa accade quando l'intersoggettività che ci conferma quali individui si spinge fino all'ingresso nella mente dell'altro che ci rende soggetto, proprio in quell'individuo che di tale scambievolezza d'intenti ha bisogno per interrogarsi sul mondo come su sé stesso? Ancora, come costruire un'immagine verbale che disegni gli stati schizofrenici della mente? In questo panorama, si può pensare alla fenomenologia di Husserl che definisce per intersoggettività un autentico rapporto con gli altri in cui la cura e la comprensione reciproca costituiscono la difesa fondamentale contro il solipsismo.
Nel modello relazionale intersoggettivo la coppia è in una relazione all'interno della quale non si danno altri bisogni se non quelli propri del processo di soggettivazione: la presenza dell'altro e quello di essere con l'altro in libertà. All'interno del modello relazionale intersoggettivo che fa da parametro al procedere della relazione psicoanalitica, non vige alcuna divisione di ruoli quali quelli di: maschile-femminile, attivo-passivo,conoscente-conosciuto, tra chi interpreta e chi è interpretato, tra chi dà e chi riceve, in una parola tra soggetto e oggetto. Questo è possibile grazie al fatto che i due attori della relazione psicoanalitica, facendo leva sulla loro capacità riflessiva, prendono distanza via via sempre più da sé stessi e dalla situazione contingente nella quale sono entrambi calati e si progettano nel tempo nella libertà.
Secondo Massimo Fusillo (L'altro e lo stesso. Teoria e storia del doppio, La Nuova Italia, 1998) nella costruzione narrativa di una diade/dualità/doppio si forma un regime rappresentativo fondato sull'ambiguità, sull'incertezza percettiva, su quel sottile momento di esitazione tra sogno e veglia, allucinazione e miracolo, naturale e soprannaturale ormai canonizzato nella schematica ma sempre efficace formula di Tzvetan Todorov. Per quest'ultimo, "il fantastico è l'esitazione provata da un essere il quale conosce soltanto le leggi naturali, di fronte a un avvenimento apparentemente soprannaturale". Possiamo anche immaginare il dialogo interno (non interiore) fra due individui agenti di tale rapporto resi celebri dalla nostra letteratura: forse Agilulfo e Rambaldo di Calvino, forse Osac e Osmoc di Mari, forse, ancora, Carlo di Tetis e Carlo di Polis di Pasolini, e altre diadi ancora presentano l'eterna e meravigliosa possibilità di narrativizzare la schizofrenia esistente in tutti noi. Come afferma Giorgio Manganelli, in letteratura ogni sofferenza articola una modalità diversa e sempre possibile del linguaggio. Ogni sofferenza articola un suo modo di agire. Il linguaggio in cambio, le rende visibili, palpabili.
Viene da pensare che uno scrittore dalla penna assai raffinata quale Maurizio Torchio abbia a lungo riflettuto sulle varie riflessioni qui esposte per la concezione di un romanzo singolare quale L'invulnerabile altrove. Qui sono due donne a costruire il doppio, Anna e un'ingegnera. Anna, irlandese, al servizio dell'Impero britannico come operaia di una fabbrica di fiammiferi e vissuta durante il regno di Edoardo VII, ha conosciuto una vita di sfruttamenti e di fatica (come del resto sua madre che ha vissuto the big famine che l'ha costretta a lasciare l'Irlanda), mentre l'ingegnera vive immersa nella nostra contemporaneità fatta di supermarket e cellulari. L'ingegnera spiega concetti del tutto nuovi alla sua sodale estinta, ma molto presente, che in cambio le racconta storie di un tempo immerso in abissi dickensiani. Le amiche, in fondo, servono a spiegare "le cose che non capisci fino in fondo" in modo non troppo dissimile da quello con cui una parte del nostro cervello dialoga con l'altra. Come in The Lovely Bones oppure in Benzina, ecco che un personaggio femminile morto diventa vivo e si racconta/racconta in una trama intessuta intorno all'investigazione dei legami possibili fra due menti. O, forse, fra le due parti della stessa mente che interagiscono nel tentativo di trovare un senso all'esistenza. Una parte con la consapevolezza di risuonare nell'altra, pur vivendo in un'epoca diversa. Evitare le dissonanze per creare un'armonia fra giorno e notte, fra alba e tramonto. Fra il mondo che si muove di giorno e quello che si muove di notte. Dentro di noi. Schizofrenia e/o bipolarismo, la malattia di Sylvia Plath come anche di altre artiste famose, può costruire dei dialoghi simili a quelli che leggiamo nel recente romanzo di Torchio: "Ci vuole troppo tempo per sprofondare, e ancora di più a riemergere; l'idiozia serve a quello, dopotutto: a ricominciare da capo, da un'altra parte. I morti hanno sempre un'altra possibilità (...). Non trascuriamoci, Anna, non diamoci per scontate. Non è vero che a stare nella stessa testa dopo un po' non si hanno più cose da dirsi". Pure, è quello che accade alle due amiche. Raffinato, ironico, pungente, il romanzo tocca vari stadi e stati della mente senza però soffermarsi sulla specificità di genere, se non a proposito dei bimbi morti di Anna. La presenza di due donne significa forse altro in questo romanzo. Con "appassionata indifferenza" (un ossimoro di Manganelli che si attaglia alla narrazione di Torchio) il romanzo rivela come per taluni la letteratura sia un'utopia, un non-luogo dove parlare dei "non morti", dei "legami spezzati", delle "metà spezzate". Di un mondo, insomma, in cui si ha sempre bisogno di un altro di cui fidarsi per tirare le somme della propria esistenza.