Piccoli animali/Nella sabbia di cose disfatte

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Nella sabbia di cose disfatte

Bruno Quaranta. Tuttolibri – La Stampa, 31 gennaio 2009.

Il primo romanzo di Torchio: una vorticosa giostra combinatoria


Il linguaggio, che prestigiatore, che despota, addirittura. Il linguaggio d’abord. La vorticosa giostra combinatoria… Si può, si deve, saltabeccare fra i Piccoli animali di Maurizio Torchio, al secolo direttore del Centro storico Fiat, più che andare alla ricerca di un filo, di un segmento. Romanzo: così viene annunciato questo deliquio, in realtà discendente per rami sperimentali, gemmati o allucinati, esercizi di stile e dintorni («Lo stil è un bipede…» di Queneau).

Quale il bandolo? Come orientarsi nell’umanità stravagante che piroetta sul pallottoliere di Maurizio Torchio? Ogni capitolo un numero, il cassetto di un bazar senza gravità, un museo lillipuziano. Perché il nostro autore – è la sensazione che si dispiega aggirandosi fra gli scaffali – indefessamente sbriciola il villaggio toccatogli in sorte. La «sabbia di cose disfatte che ne tramandano altre» è il gioco del mondo che pare intrattenerlo, financo divertirlo.

Vagola intrecciando e setacciando destini, Maurizio Torchio. Chi vuole diventare genitore, adottivo, un’estenuante, interminabile sequela («Voglio qualcosa che mi capiti semplicemente. Io so che mi basterebbe sollevare il bambino, e poi farmelo scivolare lungo il corpo, dal collo alle gambe, per adottarlo così, senza che nessuno se ne accorga»). Chi si oblia nel wargame, un Leto dei nostri giorni («Livio, il ragazzo, guarda i batuffoli di cotone infilati in punta ai cannoni. E’ il segno che, per quel turno, non potranno sparare»). Chi vorrebbe erigere – gesto di civiltà – «un monumento all’amante ignoto» (un «a sé» di cristallina ispirazione, goticamente efferato, il sulfureo Italo Cremona ammiratore di Odilon Redon lo avrebbe applaudito): «Ai piedi del monumento, seppelliremo un corpo. Un corpo scelto a caso, in rappresentanza di tutti noi. La cosa più corretta sarebbe una donna. Riesumare una donna e seppellirla ai piedi del monumento. Ci sono più donne, fra noi. Una donna di cui si possa testimoniare che fu amante, per tutta la vita, di qualcuno che non la nominò mai, con nessuno».

Barlumi (oltre che di Queneau), di Swift (l’altalena sempre più celere tra realtà e irrealtà), Sterne… Sono fra gli antenati di cui si riconoscono o si sospettano le orme nei Piccoli animali. Capofila – non a caso firma l’epigrafe – Lucrezio, quale – a proposito di ascendenze – lo racconterà Calvino: «La conoscenza del mondo diventa dissoluzione della compattezza del mondo, percezione di ciò che è infinitamente minuto e mobile e leggero. (…) egli sente il bisogno di permettere agli atomi delle deviazioni imprevedibili dalla linea retta, tali da garantire la libertà tanto alla materia quanto agli esseri umani».

Maurizio Torchio architetta un meccano dell’assurdo, un pavillon delle meraviglie, una «folie» dove recitano scarpe eleganti, cartoni animati, zimbelli più attraenti del vero, «l’accendino acceso in alto nel cielo, come una bomba, o una stella»…Se ne esce a pupille smisuratamente dilatate. Né sarà una goccia di collirio l’estrema pagina, attinta nel Catechismo della Chiesa Cattolica. Bizzarria? Nostalgia? Apoteosi della letteratura fantastica? O i Piccoli animali sono un semplice pastiche?


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